Fortuna mia volle che un fatal giorno mi imbattessi in un libello, redatto nella 2^ metà del XVII sec da un anonimo.
Essendo l’argomento dello scritto di grande rilevanza per la storia del pensiero moderno, sento il dovere morale di darlo alle stampe, e di proporlo, nonostante la sua vetustà, come viacolo di profonde e costruttive meditazioni per il lettore contemporaneo.
Sicché ve lo trascrivo così come lo trovai:
“Trouo spesso ne le libagioni jente de fine gusto e de garbo, che ritiensi dotta e saviente, epperò incapace de demostrar congruenza tra la canoscienza e ‘l saver portarsi bene.
Capitommi un jorno di cenar alla ricca mensa de lo Eccellentissimo Marchese de XXX [il nostro autore lascia nell’anonimato anche i personaggi della sua opera (n.d.R.)], ivi stavasi, tra li Nobili Ospiti de lo fastoso palazzo, un Gran Conte con la moglie Sua, dotta Dama da li modi vaghi e jentili. Mangiati li lauti antipasti venni a discorso col Signor Conte, ‘l quale dicevami che li peveroni ripieni de prugne in salsa de spigola hanno l’assai uggiosa qualità de provocar, a ‘l Suo debole intestino, graue lavoro, costringendoLo a passar ore sovra ‘l pitale, e tutto questo per l’ingrato frutto de duo stronzoli de dimesioni pari ad un danaro de arijento.
La Contessa, donna che tutti tengono per colta e dotta assai sovra ogni argumento, stavasi seduta tra me ‘l Suo Nobile consorte, hauendo ascoltato ‘l nostro dialogare, alzossi repentina, e dicetteci: - “Brutti zotici, villani di bassa leva, come vi permettete de parlar de siffatte sconcerie mentre vi trouate a consumar ‘si generoso pasto? Dovareste star tra li porci a grufolar jande per conversar con tali argumentazioni!”-; per lo gran salone abbattessi un cupo silenzio, tutti li Distintissimi Commensali guardottoci me e ‘l buon Conte con disprezzo considerandoci indecenti e mal edotti a la vita cortigiana e jentile.
Offeso ma non punto abbattuto da questo dire, mi rivolsi a la Gran Dama e, malcelando la stizza che prouavo molto, esordii: - "Madonna mia, Voi che tanta scienza portate teco, ben savrete le argumentazioni de “lo Maestro di color che sanno” Aristotile, ‘l quale distingueva ne le cose potenza e atto. E definiva in potenza le cose che non sono ancora e che podriano essere, mentre in atto le cose che sono. Verbigrazia un fiore di primavera è sì solo fiore in atto, ma frutto in potenza, e un infante è sì solo un putto, ma è anche uomo in potenza.”-
-“Ben lo conosco e lo capisco”- annuì la Contessa; allorchè proseguii: -“Se ben comprendete le argumentazioni dotte del Maestro, già savete che non vi è differenza tra una cosa in atto ed una in potenza, ma sono l’istesso medesimo essere visto sotto duo differenti aspetti. Lo che mi prieme assai è dirVe che ‘l cibo che imbandisce codesto eccellente desco, como qualsiasi altro alimento, è niente di più che merda in potenza, e dato che noi tutti teniamo per conto di mangiarlo, dopo averlo digerito sarà merda in atto, e gli istessi avanzi, a causa del tempo e della scomposizione de li quattro elementi, verranno ad esser merda in atto.
Con questo voglio palesar quanta poca possibilitade habbia codesta cosa che nomiamo cibo di dovenir altro da merda, solo un milagro, una maraviglia o un incanto de magia puote impedirne lo scritto fato; ‘l che vole significare che ‘l possibile e ‘l necessario, pe’l destino de li alimenti tutti, si truouano assai vicini e quasi combaciano ne la medesima istanza, o sia quella de doventar merda.”-
Tutta la bella brigata, che mi prestò attenzione e plauso per tutto ‘l durar del discorso mio, dimostrommi ‘l suo assenso. Io continuai: -“Hauendo ritenuto per vere tutte codeste premesse, si puote proseguir con un ben fatto silogismo. Se non habbia in ischifo la cibaglia, e se ‘l cibo e la merda sono l’istessa cosa (differente nell’essere solo per potenza e atto, con la potenza che habbia un possibile di poco differente da la necessitade), non puoto auer in ischifo la merda. E se non habbia in ischifo la merda, nimmanco puoto auerne in ischifo e in disgusto ‘l discorrerne.
Se poi de merda parlo, durante un bel simposio allietato da abbundanti piatti, menor ancora dovaria esser l’ischifo mio, dato che come dimostrossi or ora ‘l cibo che mangio è per certo merda; così che se non non pruovo molestia nel parlar de cibo al nutrirmi, non trouo ragion che sia degna de por in ischifo ‘l parlar de la medesima sostanza sotto un’altra forma.”-
Tutti li Degnissimi e Eminentissimi Ospiti applaudirono ‘l mio orare e trouarono altre mille ragioni et corollari de la grande veritade che pocanzi hebbi espresso. La Contessa, che n’era venuto a coscienza ‘l suo errore grossolano e stolto, scusossi molto per lo malo ardir che pose ne lo sentenziar tali infami parole verso la persona mia, e per poder trouar ‘l sollievo de lo mio perdono invitommi ‘l dì seguente a le sue ville. Andotti, e ivi trouai una mensa ancor più ricca et abbundante de quella de lo Marchese de XXX.
La Contessa per castigar ‘l marito Suo Conte, che come tutti mi dette approvazione pe ‘l mio bel discorso de la sera innante, imbandì la tavola de pevaroni in salsa de spigola (che tanto nocciono a le delicate e deboli interiora del Signor Conte) mapperò non ripieni de prugne (che troppo saria stato pe ’l l’istomaco et le budella del Suo Nobile consorte), ma de merda.”
Alla legge del Menga sempre sta contrapposta la legge del Volga, meditate gente … meditate …